sabato 7 marzo 2009

L'Iraq e la democrazia



L’ex presidente degli Stati Uniti ha riconosciuto alla fine del suo mandato che la guerra in Iraq era stata un grave errore. All’epoca fu condivisa solo da Gran Bretagna, Spagna e Italia, contro tutto il reto del mondo. La motivazione ufficiale fu che quel paese disponesse di armi di distruzione di massa e fosse sul punto di approntare armi nucleari.

I fatti dimostrarono che l’Iraq a stento disponeva solo di armi tradizionali non di ultima generazione. Gli americani e i britannici avanzarono rapidamente senza grande opposizione ed espugnarono una capitale praticamente indifesa. Il dittatore e gran parte dei massimi capi non riuscirono o non vollero scappare in un rifugio sicuro e si fecero catturare come topi sbandati.

Poco dopo, l’America dichiarò che la guerra era finita con una vittoria su tutto il fronte e arrivarono così anche gli italiani a dare una mano. Ma la situazione era un po’ diversa. Si scatenò la guerriglia e gli attentati terroristici fin nel cuore delle capitale. La lunga processione ben occultata di bare verso gli USA aumentò di giorno in giorno e con i metodi di guerra degli americani più di un milione di iracheni ascese al paradiso di Allah.

Raggiunto dopo anni un accordo, non si sa quanto duraturo, tra sunniti, sciiti e curdi e ottenuto un minimo di tregua, si fecero le elezioni generali, si elesse un presidente, un parlamento e un governo. E fu la democrazia!

Il nuovo presidente USA ha annunciato ora che entro agosto del 2010 le truppe americane torneranno a casa, cioè tra un anno e otto mesi, come dire che la guerra non è ancora finita. Dopo tale data resterà comunque un contingente di soli 50.000 soldati a tempo indeterminato. Come successo in Corea del Sud dove è di stanza dal 1948 un consistente presidio di soldati americani.

Nonostante tutto ciò, c’è ancora in Italia il direttore di uno dei quotidiani della famiglia del primo ministro che ripete a ogni piè sospinto, con malcelata vanagloria, che gli americani hanno vinto in Iraq, portando la democrazia in un paese che era soggiogato dalla dittatura. E volendo significare: ho avuto ragione io, che ho sempre sostenuto l’intervento a spada tratta contro i molti.

Che per ottenere questa finta e precaria democrazia siano stati sacrificati 4.200 soldati americani e 1.200.000 iracheni non ha importanza. Senza considerare le atrocità delle prigioni tipo Abu Ghraib e del lagher di Guantanamo, dove ancora sono detenuti da anni in condizioni disumane migliaia di presunti terroristi, senza prove, senza processi, senza assistenza legale.

A parte la fondatezza del diritto di una potenza straniera di invadere con le armi un altro paese sovrano per imporre la propria democrazia a popolazioni abituate da secoli a vivere in diverse forme organizzative, è proprio sicuro, caro direttore, che il risultato ottenuto giustifichi la montagna di morti e di atrocità su cui è stato costruito?